lunedì 2 gennaio 2017

Mandiamo in pensione Riccardo Orioles

Legge Bacchelli: un riconoscimento alla Scuola di Riccardo Orioles

Pino Finocchiaro

“Riccardo è il migliore di Noi”. Dice Claudio Fava nel documentario di Luca Salici col quale si chiede l’applicazione della Legge Bacchelli in favore di Riccardo Orioles. Cronista al Giornale del Sud. Cofondatore dei Siciliani al fianco del direttore Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia militare catanese in nome e per conto della mafia dei colletti bianchi all’ombra dell’Etna una sera fredda e piovigginosa il 5 gennaio del 1984.

Dopo la morte di Pippo Fava, dopo ogni riunione, ogni pranzo, ogni festa, ogni bevuta, ogni cena, il mantra di Riccardo è sempre stato: “Adesso non c’è tempo per piangere, dobbiamo lavorare”.

Una sorta di navigare necesse est pronunciato ad ogni piè sospinto tralasciando la seconda parte della frase di Pompeo tramandata da Plutarco: vivere non necesse.

Navigare, Riccardo ha navigato tanto. Tutto continua con lui, come scrisse Franco Fortini. Prosegue nella fase entusiasmante di Avvenimenti. Prosegue con i Siciliani giovani, Casablanca, l’interregno di Libera Informazione alla morte di Roberto Morrione, la Periferica, Telejato e via via narrando modelli di comunicazione. Traccia un solco profondo, lo riempie di contenuti al punto da renderlo navigabile alle navi. Il nostro Pompeo-Riccardo.

Una flotta eterogenea. Tante barche, un po’ bizantine, con marinai di lingue diverse, talvolta incomprensibili tra loro, talvolta incomprese dalla riva dove i potenti e i loro servi addobbati a festa come asini il dì di Pasqua continuano a menar sassi e scoccar frecce. Ciurme così improbabili e rotte alla ventura da imbarcare, talvolta, persino me.

Tant’è. Dopo la morte del Direttore. Ogni qualvolta Riccardo scandisce il navigare necesse est nel suo intimo applica il karma del vivere non necesse.

Una casa? non serve. Basta un divano in redazione. Costa troppo il riscaldamento? Non si paga più. Ecco l’amica catanese, arriva in redazione con la stufetta elettrica. Con la speranza che almeno la luce qualcuno continui a pagarla. Mangiare tutti i giorni non è necessario. In fondo la fame è l’anticamera della morte. Un modo per restare fisicamente vicino al Direttore.

Una fame epica, letteraria, quella del migliore giornalista antimafia d’Italia. Provata dormendo su una panchina alla stazione. O sotto casa di un amico al quale non vuol arrecare disturbo.

E quando, scorgendolo, quello gli dà concreto aiuto, la reazione di Orioles è sfuggente, privata. Ancora una volta tanto epica e altrettanto letteraria da poter descrivere con le parole del premio Nobel norvegese Knut Hamsun nel suo Fame: “Non avevo più smesso di tremare per tutto il corpo e continuai dopo il pianto ad essere scosso di quando in quando da profondi singhiozzi”.

L’inedia come strumento di consapevolezza è la cifra stilistica di Riccardo Orioles senza la quale non puoi comprendere i suoi esaltanti “attacchi”. Spiega l’urlo, il tanto per abbaiare, il rigore fondamentalista del suo essere giornalista antifascista e antimafioso.
Con Riccardo tutto continua. Prosegue senza di Noi. Noi distratti, noi narcisi, noi inseguiti dalle beghe della quotidianità. Affitti da pagare, debiti da onorare, scadenze da rispettare. Riccardo è sempre un passo avanti col papillon e il bastone puntato verso un obiettivo. Come un comandante di Cavalleria, incita alla carica questo manipolo di giovani e vecchi troppo impegnati a studiare, lavorare, migrare per gli studi. Migranti per lavoro, studiano e lavorano per meglio comprendere le migrazioni.

L’obiettivo della Cavalleria è sconfiggere i Cavalieri dell’Apocalisse e quel tanto che resta sommerso del loro apparato di consenso e oppressione del dissenso.

Un Comandante scomodo perché non arretra. Vuole al suo fianco combattenti anche scalcinati ma coraggiosi. Scaccia i rampanti. Vadano al circo con i più degni clown. Qui si rischia la vita, la libertà, il futuro delle generazioni.
Abbiamo riso tante volte insieme del giornalismo rampante. Le carriere fulminanti agganciate al carro politico, sindacale, imprenditoriale, purché vincente. Pagate con reticenza. Cosa sarà mai qualche verità in meno in un mondo di corrotti? Bisogna fare in fretta. Bruciare le tappe. Autosospendere le coscienze.

Orioles paga con l’indigenza il prezzo per le scomode verità rivelate. Quello che insegna Riccardo è un giornalismo senza compromessi. Partecipato, urlato. Non comodamente accovacciato nell’anticamera di una Procura. Piuttosto un giornalismo che mette in subbuglio la Procura. Indaga, mette a nudo contraddizioni, svela rapporti indicibili tra magistrati, politici, editori e sindaci: nel 2011 come nell’81. Perché i Gattopardi sono sempre in agguato. Orioles non li teme. Li svela, li sbeffeggia. Organizza manifestazioni contro il patto scellerato che offende e avvilisce Catania, la Sicilia, l’Italia.

Orioles è il migliore di Noi, quello che più ha sofferto e più pagato. Ciò non basta a giustificare l’applicazione della Legge Bacchelli.

Riccardo Orioles col bastone da maresciallo, la gavetta fredda e vuota, ha insegnato il mestiere di giornalista a generazioni di aspiranti cronisti. Non bastano le quindicimila firme della petizione.

Orioles va insignito con la Legge Bacchelli perché questo maestro di color che sanno ha fatto la differenza. In Italia ha fatto scuola. Di vita e di giornalismo. Noi, tutti, siamo in debito. Il Paese intero è in debito con lui.

Sì. Mandiamo in pensione Riccardo. Non perché è il migliore. Perché ci ha reso migliori.

pinofinocchiaro@alice.it

martedì 20 dicembre 2011

Betulle e cespugli sui sentieri del buon giornalismo (Roma 2005)

Articolo 21 - Editoriali





Rai: "Se hanno cacciato Biagi e Santoro figuratevi un precario"
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di Pino Finocchiaro*

*Giornalista professionista, precarioRai, socio fondatore di Articolo21, è iscritto all¹Odg dal 1978

"Se hanno cacciato Biagi e Santoro, figuratevi un precario". Non dimenticherò mai le parole rotte dai singhiozzi di Alfredo Pieroni, giornalista per cinquant'anni al Corriere della Sera, ad un assemblea di Articolo21 nell'era dell'opposizione a Berlusconi, Beluscones e Berlusconidi. Non posso dimenticarlo.  Non solo per aver vissuto quell'esperienza. Quelle parole sono state immortalate e trasmesse in tutto il mondo dai colleghi della Pbs, l'autorevole tv pubblica statunitense, nel documentario Citizen's Berlusconi. I colleghi della Pbs per rendere ancora più drammatico l'intervento di Pieroni hanno usato come controcampo il volto di un autentico precario Rai, non più giovane, corrucciato e perplesso. Quel volto è il mio. Come dimenticarlo? Quella stessa immagine è stata utilizzata da Sabina Guzzanti nel film "Viva Zapatero". Tutti i progressisti italiani sono corsi al cinema ed hanno visto le lacrime dell'anziano inviato del Corriere cui faceva da contrappunto il cruccio del non più giovane precario Rai. Come dimenticare?
Insomma, la vicenda dei precari Rai non riguarda solo i diritti dei giornalisti, programmisti, registi e tecnici coinvolti da lustri in questo mercato senza regole ma la libertà d'informazione di tutti i telespettatori del servizio pubblico radiotelevisivo.
Chi paga il canone ha il diritto di essere informato ma anche ³intrattenuto² da professionisti autenticamente liberi che godano di compensi e diritti contrattuali ³pieni². Oggi così non è.
La libertà economica e la certezza della carriera professionale sono elementi indispensabili se vogliamo sottrarre i professionisti della Rai al sottobosco delle marchette. Un giornalista professionista ha il diritto di ritirare la propria firma e la propria voce da un servizio se gli si impongono dei tagli che ne snaturano il contenuto.
Ma un precario che entri in conflitto per qualsivoglia motivo coi suoi capi sa già cosa l¹aspetta: pause più lunghe e contratti più brevi rispetto ai colleghi più ³obbedienti² che non solo lavoreranno di più e guadagneranno di più ma lo sorpasseranno agevolmente nel momento in cui verranno determinati i bacini d¹accesso alle assunzioni.
Il premier Prodi, il ministro Damiano, il presidente della Rai, Petruccioli, si sono occupati della vicenda quando a governare la Rai erano i Berluscones. Con Cesare Damiano, allora ministro ombra dei Ds al Lavoro, e con Petruccioli, allora presidente della commissione di Vigilanza ho avuto modo di esporre il mio pensiero, sempre in veste di rappresentante dei precari nel Comitato delle testate nazionali, sempre in pubblico, sempre in sedi politiche e istituzionali. Francamente, speravo che ponessero il problema dei precari Rai tra i più urgenti da risolvere con criteri chiari, trasparenti, universalmente verificabili ma così continua a non essere.
Il pallino dell¹assunzione viene spostato avanti e indietro, a destra e a sinistra, a secondo di chi ha la palla più grossa e meglio colorata  vanno forte l¹azzurro e il rosso, ma anche il bianco, il giallo e il nero  buona a spostare il pallino dove serve.
Perché, regole certe vorrebbero che se vieni escluso da un¹assunzione per una differenza di cento giorni da chi ti precede in lista, la tua assunzione venga posticipata di cento giorni. Invece possono passare cinque-sei anni senza che nulla accada e senza che l¹azienda si impegni neppure ad assumerti in futuro. Perché col gioco dei contratti più corti e delle pause più lunghe qualsiasi "caporale" può farti precipitare da primo dei non eletti a quarantesimo. Perché c¹è sempre qualcuno che ha la palla più azzurra, più gialla o più rossa della tua.
Il problema qui non sta nel cruccio infinito del candidato ma nella sua addomesticabilità. Risorsa che dovrebbe risultare particolarmente sgradita a chi paga il canone e vorrebbe essere informato senza altri filtri se non quelli della veridicità, della rilevanza e della decenza nel modo di porgere la notizia.
Più che il precario, della sua precarietà dovrebbe preoccuparsi il telespettatore.
I rimedi sono semplici. Eliminare il pallino e gli steccati mobili con precise tappe di carriera che culminino nell¹assunzione a 1.095 giorni (365 per tre).
Oltre i tre anni non si dovrebbe andare. Perché è il limite oltre il quale Marco Biagi avrebbe voluto si convertissero i contratti a td in tempi indeterminati. Perché è il limite oltre il quale la Bbc ha deciso da tempo di non andare. Quale miglior esempio nel mondo di servizio pubblico radiotelevisivo? Alla Bbc hanno  semplicemente considerato che il servizio pubblico ha l¹obbligo della qualità. E la qualità non si raggiunge con scelte da tv low cost. Perché la qualità costa. Costano le inchieste, costano gli approfondimenti, costano le interviste e i collegamenti sul posto.
Lo sa bene Alfredo Pieroni tra le lacrime. E' sua l'inchiesta che nel dopoguerra rivelò la tragica vicenda del figlio segreto di Mussolini. Una verità scomoda che risvegliava responsabilità di persone passate armi e bagagli dalla dittatura alla democrazia. Le inchieste costano, impegnano e possono essere completate solo da uomini liberi con un futuro certo e un presente solido.
Sono esempi che non sentiamo mai fare da chi ha adottato una politica del terrore nei confronti dei precari Rai. Preferiscono sottolineare che la Bbc ridurrà di un terzo i propri dipendenti. Ma omettono di ricordare che anche così i dipendenti della tv britannica saranno il doppio di quella italiana. Omettono di dire che la Bbc, dopo aver chiuso sistematicamente e senza pallini, la partita con i precari assumendoli al terzo anno di anzianità, si prepara ad assumere migliaia di nuovi giornalisti, soprattutto di etnie e religioni ben presenti nel Regno Unito ma poco o per nulla rappresentati nelle redazioni. Un problema che prima o poi dovrà porsi anche la Rai.
Perché stabilizzare il precariato vorrà dire aprirsi alle risorse esterne, indispensabili per migliorare la qualità del servizio pubblico.
Vorrà dire badare al curriculum dei candidati. Oggi, un cronista con trent¹anni di mestiere alle spalle con la politica delle pause lunghe e dei contatti brevi ha la quasi certezza di essere puntualmente superato nelle assunzioni da chi non era ancora nato, o aveva appena iniziato le elementari, nel momento in cui iniziava il suo percorso professionale. Ragione di cruccio per il professionista. Ma soprattutto motivo di indignazione per chi paga il canone.
Qualcuno dirà e l¹Ordine? E l¹Fnsi? E l¹Usigrai?
L¹Ordine si è smarrito tra Cedri e Betulle. Non riesce ad adottare neppure una moratoria per le scuole di giornalismo che ogni anno sfornano centinaia di inoccupati che s�?affiancano alle migliaia di professionisti disoccupati già esistenti. Moratoria di almeno due anni, non per chiuderle ma per riservarle alla formazione di chi nell¹Ordine c¹è già: pubblicisti professionali, praticanti che non hanno potuto concludere il praticantato, professionisti disoccupati da riqualificare.
L¹Fnsi deve badare al contratto che non si riesce a chiudere. Lo spauracchio agitato dall'avversario è proprio l'ampliamento del precariato nelle redazioni.
L¹Usigrai è impegnata nelle manovre di successione  al vertice. Guarda caso, per l¹Usigrai non possono votare quelle migliaia di giornalisti professionisti che pure  lavorano in Rai ma sono nel limbo di fascia B e C nelle testate oppure fanno gli inviati o i capiredattori di fatto nei programmi di rete  dove vengono pagati con il contratto dello spettacolo. Il precario non vota, quindi può attendere.
Smarrite tra olezzi di alberi  e cespugli, le istituzioni che avrebbero dovuto salvaguardare i diritti di queste migliaia di professionisti nel limbo, lasciano che ad occuparsi del loro cruccio personale siano le anticamere del potere o i giudici del lavoro. Perché mai una trasmissione come la Vita in Diretta non deve avere una redazione giornalistica coordinata da un direttore responsabile e da un caporedattore così come viene imposto per legge a Chi o Novella tre-quattromila che sia? Eppure si occupano delle stesse cose. Perché le varie linee verdi e blu devono giungere direttamente nelle case degli italiani senza uno staff redazionale con contratto Fieg-Fnsi mentre Tuttoturismo o Gente Viaggi non arriverebbero neppure in edicola?
Insomma. Il precariato non rende migliore la Rai, ne comprime le qualità. Il presidente Petruccioli bene farebbe a mettere mano, subito, alla vicenda debellando la politica dei bacini mobili: buona per le navi da sbarco, non per l'ammiraglia della cultura italiana.
Petruccioli porti in consiglio la determinazione del fatidico giorno in cui un td viene assunto a tempo indeterminato. Quel giorno deve rappresentare un punto fermo, stabile e stabilito. Uguale per tutti. Un progressista non può accettare regole che producano discriminazioni ma punti discriminanti uguali per tutti. Generalmente, la politica è l¹arte della mediazione, in democrazia, ha per obiettivo l¹equità. Senza quel traguardo fissato, stabilito e uguale per tutti i precari ogni altra decisione risulterebbe agli occhi di tutti inadeguata e inopportuna. Anche agli occhi gonfi di lacrime del maestro del giornalismo d'inchiesta Alfredo Pieroni.
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lunedì 19 dicembre 2011

Dalla P2 alla Struttura Delta: una Storia italiana

Licio Gelli, torna la vetrina dei ricatti. Intervista a Maurizio Chierici
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di Pino Finocchiaro

Licio Gelli, torna la vetrina dei ricatti. Intervista a Maurizio ChiericiMaurizio Chierici da inviato del Corriere della Sera ha vissuto e sofferto la resistibile ascesa del gran maestro della loggia deviata della P2, Licio Gelli, e ricorda, ad un anno dalla scomparsa, il disagio di Enzo Biagi che lasciò il Corrierone sbattendo la porta dopo la pubblicazione dei nomi dei giornalisti iscritti alla Loggia Propaganda. Ed ora rilegge con noi di Articolo21 la ricomparsa del venerabile che della P2 protagonista di Venerabile Italia un programma televisivo della rete Odeon Tv. Secondo Chierici, Gelli era solo il numero quattro della P2, mentre del grande vecchio che la guidava nessuno è riuscito  a svelarne il nome. Accadde 28 anni fa. Era il tempo della strategia della tensione, dell’Internazionale fascista che fece 32 mila morti solo in Argentina e delle stragi di Stato.
Tra le dichiarazioni più inquietanti di Licio Gelli vi è certamente “le stragi ci sono sempre state e ci saranno sempre”. L’ennesimo messaggio?
“Questa è la vetrina dei ricatti di Licio Gelli. Lui resta grande per questo. Può avere in mano le carte di tutti. Le sue carte devono compromettere tutti. Sono rimasto impressionato sempr dal suo potere. Quando è stato catturato dopo essere fuggito dalla Svizzera, è stato messo in una cella speciale a Parma per riguardo alle condizioni del suo cuore. Così ha vissuto in uno splendido salotto della Certosa di Parma ha vissuto 27 giorni filmato da tutti. Si faceva portare la colazione dal miglior ristorante di Parma con un secondino che assaggiava i suoi pasti in modo da non finire avvelenato come era accaduto a Sindona. Ma tutto questo non bastava, illustri clicinici italiani hanno detto che doveva andare a casa perché voleva morire a casa. Son passati vent’anni ed è ancora lì. La cella è stata utilizzata per il numero due della P2, Ortolani, perché in realtà Gelli è solo il numero quattro. Ora, dico, un uomo ricercato in tutta Europa, con i soldi che non si trovano, per ottenere un trattamento del genere che potere ha? Il potere del ricatto”.
L’ultimo intervento di Gelli ha creato imbarazzo anche all’interno del Popolo della libertà. Ci sono attente prese di posizione: “Noi non abbiamo richiesto questo intervento”. Gelli, infatti, parla bene di Silvio Berlusconi che era uno dei suoi “muratori”, anzi “apprendista muratore” nella lista della P2.
“Ecco, uno dei grandi problemi sottolineati anche dal giudice Gherardo Colombo o da storici come Flamini, uno dei problemi che ci ha perseguitato è la P2 esiste ancora? C’è il problema che il piano Rinascita coincide perfettamente con il secondo governo Berlusconi, adesso la cosa si è aggravata…
Insomma, la P2 esiste ancora… col punto interrogativo o senza? “Il punto interrogativo ci ha perseguitati in tutti questi anni.  Da allora ad oggi. Soprattutto a noi del Corriere. Biagi il giorno della prima assemblea dopo la P2 ad un certo punto ha sentito parlare Di Bella e gli altri che si giustificavano, poi ci ha lasciato: “Io in questo letamaio non ci sto. Me ne vado”. E se n’è andato. Ora, ricorre il primo anniversario dalla morte di Biagi. Pensa all’amarezza che avrebbe provato guardando la tv. Ogni sera vedi il pidduista capo del governo e il pidduista Cicchitto che rappresenta il partito del capo del governo. E’ possibile che siano tutti così in vetrina? Mi dispiace per il mio amico Maurizio Costanzo, ma non solo lui è stato nella P2, poi ha rinunciato, ma anche le strutture di produzione dei suoi programmi hanno un’ossatura di uomini pidduisti. Ha cambiato nome ma è lì, vive con noi. A questo punto è talmente sicura che può mandare le provocazioni che vuole. Anche la storia d’Italia raccontata da Gelli”.
Giusto in questi giorni, il presidente emerito, Francesco Cossiga, ha rievocato la strategia della tensione. Non occorre mandare la polizia in piazza. Basta mandare gli infiltrati nel movimento. Dall’altra parte Gelli afferma “non c’è nessuna strategia della tensione”.
“La sinistra a questo punto dovrebbe essere molto attenta. Si è un po’ rilassata su questo problema. Sull’Unità, così come avevo fatto prima sul Corriere, ho scritto non so quanti articoli. Ho fatto un’inchiesta sull’Italia della P2. Ho parlato di cicchitto. Cicchito si è infuriato. Ha detto che mi denunciava. Non è mai arrivata la denuncia. La P2 è talmente sicura che non ha più bisogno di protestare né di nascondersi. C’è. C’è sempre stata. E adesso sono talmente convinti di avere la gente dalla loro parte…
A proposito. Oggi sull’Unità ci aspettavamo un tuo articolo sulle dichiarazioni di Gelli…
“Sono sempre in viaggio, magari non mi hanno trovato.
Noi di articolo21 siamo sempre più fortunati… dicevamo?“Quando insegnavo all’università facevo sostenere gli esami per libri scritti, non per libri letti. Ad un centinaio di ragazzi ho dato una ricerca  che è diventata un libro di 1.800 pagine. Non era solo un libro, era la presa di coscienza dei giovani. Nella prefazione un ragazzo di Reggio ha scritto: “Quando ho scoperto cos’era la P2 è finita la mia giovinezza e comincia la mia complicata maturità”. Quindi, i rendono conto del baratro. I laboratori della sinistra, del centrosinistra. Su questo bisogna farli. E su questo bisogna battersi non solo con le parole, i discorsi e gli articoli sui giornali. Bisogna declinare queste cose ai giovani. Gli universitari e i  professori che giustamente stanno scioperando nell’università, gli antagonisti alla riforma, costituiscano dei laboratori su questo, su questa storia recente. Perché la storia sembra aver dimenticato l’avvenimento più importante dopo la resistenza e la repubblica di Salò. Che c’è stata in Italia la P2, perché questo serve a spiegarci chi siamo e contro chi dobbiamo batterci.
Lunedì scorso abbiamo visto i ragazzi con la stella rossa e quelli con la maglietta nera insieme contro la Gelmini. Già mercoledì gli stessi ragazzi si sono scontrati in piazza Navona con bastoni, caschi, sedie e via facendo. Con questi tafferugli in piazza, come ci insegna il tuo lavoro di cronista, sono iniziati gli anni di piombo.
“Credo che i due estremismi si siano allarmati. Com’è possibile che l’estrema sinistra potesse andare d’accordo con l’estrema destra contro un progetto di riforma insensata che vede tutti i ragazzi contro. Questo è nell’animo dei giovani. Io, naturalmente, non sono di estrema destra, né di estrema sinistra. Ma i giovani sono così. E questo ha allarmato quelli che sono i laboratori chiari o oscuri del potere. P2, per esempio. E’ questo ha fatto nascere l’intervento, scellerato”.
Ed è avvenuto a pochi giorni dall’avviso di Francesco Cossiga che parlava di infiltrati nel movimento.
“Cossiga, serve ai giornali, Ai miei tempi andava in televisione uno molto divertente, Mariannini, si vestiva in maniera assurda, entrava in scena con la tuba. Cossiga ha una vis comica, è il Mariannini dei nostri giorni, non lo prenderei troppo sul serio”.
Quali anticorpi può sviluppare il Paese contro il ritorno di Gelli?
“Gli anticorpi si sviluppano innanzitutto con l’informazione. E l’informazione inizia con le nuove generazioni. Se dopo la P2, soprattutto nelle università, si fosse spiegato a lungo la storia moderna, la storia della P2 questo avrebe eroso il rododendro, il potere della P2. Invece i ragazzi non sanno nulla”.
Che te ne pare di una tv che propone “Venerabile Italia”?
“In una televisione che propone Moggi come moralista dello sport, Gelli è adatto per lo stesso motivo. Il problema è un altro, capire chi è il numero uno della P2. Il burattinaio non è mai stato Gelli è un personaggio troppo squalificato moralmente. Prima i passaggi da una parte all’altra. I rapporti con le mafie. I suoi generali argentini che han fatto trentaduemila morti desaparecidos. Tutto questo non è gratis. La morte di Calvi…”.
Gelli ha posseduto sempre un retrogusto di grottesco. Anche questa rivelazione della foto con Tina Anselmi…dà l’idea di personaggio da gossip più che da grande burattinaio.
“ Su Tina Anselmi voglio sottolineare una cosa. Ha presieduto la commissione d’inchiesta parlamentare. Per un anno e mezzo Tina Anselmi è andata in giro per i tribunali di tutta Italia a testimoniare. Perché nessuno ammetteva di esere iscritto alla P2. Soprattutto chi faceva politica. Dopo due anni è stata abbandonata. Erano governi sociali e democristiani. A quel punto ha dovuto fare da sola. Come mai è stata abbandonata? Tant’è vero che non ha mai risposto ai giornalisti. Solo ai ragazzi ha spiegato la sua storia. E’ stata registrata e lì ha narrato il finale della sua storia. Perché è stata abbandonata?”.
Erano i tempi del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani)…“Erano i tempi del Caf”.

www.articolo21.org

Organizzazione Delta in Rai: La chiarezza può attendere


Più audit per tutti


(AGI) - Roma, 4 lug. - Investigate su di me e verificate se è vero quanto riportato da alcuni quotidiani. E’ questo il senso della richiesta del vice direttore generale della Rai Gianfranco Comanducci al direttore generale, Lorenza Lei, e al presidente del Cda Rai, Paolo Garimberti. Comanducci chiede che venga aperto un audit aziendale volto ad accertare “eventuali mie responsabilita’ di alcun genere, anche per quanto concerne asserite militanze in fantomatiche organizzazioni”, al fine di poter “escludere qualsiasi forma di collusione o semplice connivenza con chicchessia, volta comunque a recare danno alla mia azienda”. Il direttore generale Lei ha subito accolto l’istanza volta a fare chiarezza sulla delicata vicenda - la cosiddetta “struttura Delta” -e dato quindi incarico all’Internal Auditing Rai di avviare immediatamente le procedure necessarie per l’acquisizione di tutta la documentazione per aprire l’indagine.


Se vuoi saperne di più, clicca qui (in basso)





04/07/2011 (ANSA) - ROMA, 4 LUG - La Direzione Generale della Rai ha incaricato l'Internal Auditing di avviare 'le procedure necessarie per l'acquisizione di tutta la documentazione per aprire l'indagine' sulle notizie che riguardano la struttura 'Delta. La decisione arriva dopo la richiesta di un 'audit aziendale' avanzata dal vicedirettore generale Gianfranco Comanducci. Audit - secondo Comanducci - 'volto ad accertare eventuali mie responsabilita', anche per quanto concerne militanze in fantomatiche organizzazioni'.

(ANSA) - ROMA, 14 DIC - “Su questo preferisco non esprimermi. Ha già risposto Comanducci chiedendo un audit interno”. Così il presidente della Rai Paolo Garimberti ha risposto ad una domanda sui presunti favoritismi fatti in azienda dal vicedirettore generale Gianfranco Comanducci nei confronti dei suoi parenti, di cui parla oggi Il Fatto Quotidiano.
 
Nell’articolo si sostiene che Comanducci, “uomo di Previti in Rai, nel corso degli anni non solo ha blindati ‘i famigli’ del Cavaliere in azienda, ma ha anche provveduto a mettere al sicuro se stesso e i suoi affetti più cari”. Il giornale si riferisce quindi alla moglie, Anna Maria Callini, “nominata dirigente”, alla cognata Ida Callini, “promossa funzionaria dall’ufficio Risorse Umane, da pochi mesi in pensioné, al cognato della moglie (Claudio Callini) “assunto come tecnico e poi passato in un batter d’occhio a cineoperatore giornalista a tutti gli effetti”. Il quotidiano riferisce poi che “la nipote é stata presa alla consociata Sipra”, così come “la tata della figlia”. (ANSA).





Gianfranco Comanducci, il primo a sinistra


sabato 30 aprile 2011

Alzatevi, andiamo


Santo da subito, Beato adesso

di Pino Finocchiaro


“Santo, subito”, urlano trecentomila persone stipate in San Pietro. Il guardiano dell’ortodossia cattolica, il cardinale Joseph Ratzinger li rassicura. “Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra del Padre, ci vede e ci benedice”.
Possiamo stare certi che le prime benedizioni, le prime carezze dalla Casa del Padre, Karol Wojtyla le ha riservate ancora una volta agli ultimi, ai diseredati, ai giovani ai quali il consumismo, il collettivismo e la violenza dei poteri forti tentano ogni giorno di rubare il futuro. “Ricordatevi di me -disse Wojtyla - mai più la guerra”.
Sì, la prima benedizione del Papa acclamato santo a furor di popolo è per loro. Non per i potenti delle prime file. Non per lo loro valigette nucleari, non per i simboli del potere.
Una carezza per l’umanità. Una benedizione per un mondo confuso tra est e ovest, tra sud e nord, tra fame e opulenza, tra alluvioni e siccità. Un’umanità  piegata alla quale Karol il Grande ha insegnato a risorgere già  su questa terra col suo grido “Non abbiate paura”.
Un Papa operaio. Vero operaio, con le scarpe grosse, che dedica l’eroismo della quotidianità  alla Madre del suo Maestro. Un operaio che fa della fabbrica il suo vero seminario.
Un Papa che vaga per il mondo non alla ricerca di proseliti ma dell’uomo da ascoltare ed amare.
Un dialogo aperto a tutti gli uomini. A tutte le confessioni. A chi non ha confessione e persino a chi le confessioni ha umiliato in nome dell’ateismo di stato.
E’ un dialogo difficile, da comprendere.
Gli ultimi, i semplici, sono i primi a comprenderlo.
Dotti e teologi fremono ad ogni sua enciclica. Gli uomini, le donne i bimbi che tirano la carretta ogni giorno, no. Lo sentono vicino nelle bidonville brasiliane come nelle fabbriche assassine del sud est asiatico.
Persone semplici che oggi lo riconoscono in quella bara di legno semplice con una semplice croce marcata sull’asse che la chiude a coperchio. Con quella M che ricorda la Madonna cui ha dedicato la vita, ed ancora quella croce, che a guardarla bene ricorda piuttosto una T maiuscola. Maiuscola come il suo motto “Totus tuus ego sum”.
Una vita dedicata alla teologia della speranza. Perché nei conflitti esteriori tra integralismo e teologia della liberazione Papa Giovanni Paolo II seppe leggere l’intima forza del carisma. Ad entrambi, a tutti, Karol il Grande propose la via della Speranza. Speranza nella misericordia di Dio. Speranza negli umili, i primi a cogliere la forza liberatrice dell’Amore.
Testimone di Pace, Libertà  e Giustizia. Instancabile nell’invitarci ad alzarci dal nostro letto di dolore, di incomprensione, di morte civile per riscoprire qualcosa di superiore che sta dentro e fuori di noi.
“Alzatevi, andiamo” ricorda Ratzinger nell’omelia funebre. Con quelle parole ci ha risvegliato da una fede stanca, dal sonno dei discepoli di ieri e di oggi.
“Seguimi”, l’imperioso invito che il sacerdote Wojtila riceve tante volte nella vita e che ogni volta accoglie senza badare al sacrificio. Un sacrificio che diverrà  testimonianza sino all’ultimo Amen.
“Il nostro Papa - ricorda Ratzinger - lo sappiamo tutti, non ha mai voluto salvare la propria vita, tenerla per sè ; ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi?”.
Ecco perché gli umili lo acclamano santo, gli ultimi lo conclamano primo tra gli uomini. Non li ha affascinati con le suggestioni del rito o con la magniloquenza.
La sua eredità  più grande non è per i semiologi ma per gli ignoranti. Non occorrono studi e belle letture per capire che l’Amore è il principio di tutto. Comprendere che Pace, Giustizia, Libertà  sono l’esatto opposto di Guerra, Tirannia, Oppressione. Se vuoi essere uomo sul solco di Cristo non puoi vivere in bilico. Devi scegliere.
La speranza operosa di Wojtyla rompe le catene dell’oppressione ma non vuole conflitti tra classi: auspica dialogo, confronto, pari dignità . Chiede “con l’autorità  di un padre” che si liberino i sequestrati in Iraq così come aveva chiesto anni prima per le vittime dei sequestri in Italia e nel mondo.
La vita, la libertà  sono beni indisponibili all’uomo perché dono di Dio. Lo grida nella Valle dei Templi ai mafiosi, lo urla benedicendo i piccoli senza scarpe e senza cibo delle favelas brasiliane tuonando contro i pedofili e i trafficanti di organi che di quelle povere creature fanno carne da macello.
La speranza operosa di Karol il Grande e all’orecchio dei semplici. Delle comunità  che nascono tra i poveri, i diseredati, i truffati dalle scorrerrerie di borsa del Sud America.
I giovani lo ascoltano e lo seguono. Sino all’ultimo viaggio. Fanno di questo funerale un fatto di vita, non di morte.
Son lì, italiani, polacchi, spagnoli, asiatici, africani, americani. Con le loro bandiere e i loro striscioni guardano sui grandi schermi il vento che batte le pagine del Vangelo posto su quella semplice bara.
Sono venuti qui a salutarlo. Vogliono cogliere l’ultimo messaggio in quel Vangelo che s’apre e si chiude. Quelle pagine che corrono leste da destra a sinistra, da sinistra a destra. Come se la mano dell’arcangelo Michele le sfogliasse per lui che ha raggiunto la Casa del Padre e per noi che non è ancora il momento.
Quelle pagine parlano d’amore e speranza. Parlano al cuore degli umili molto più della suggestione mediatica, dei cori e delle belle parole.
“Voi siete qui, ed io non vi ho abbandonato”. Sembra dire il Papa polacco. E quelli, gli umili, i semplici, i carcerati, i perseguitati per aver pronunciato parole di verità  si prendono per mano e pregano per lui e per noi.
Gli ultimi sanno di esser primi al suo cospetto e - fregandosene delle gerarchie e dei tempi canonici -  per primi gridano “Santo, subito!”. Nell’altare della propria coscienza, ognuno di loro lo ha già  eletto Santo. Chi non crede ancora in Dio, già si rode nel dubbio: “E se Dio fosse veramente Amore?”.






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